18 Novembre 2021 - 9 Gennaio 2022

Padova, Galleria Civica Cavour

Mostra fotografica di Massimo Saretta

“Il silenzio nel vuoto”

Il Comune di Padova ospita il fotografo Massimo Saretta all’interno della Galleria d’Arte Cavour, nel cuore dell’area pedonale della città e a due passi del celebre Caffè Pedrocchi.

Tra le più ambite sedi espositive della città, la Galleria d’Arte Cavour ha ospitato le maggiori mostre d’arte nell’ultimo decennio con una programmazione che la vede protagonista anche nel prossimo triennio.

Padova

Giocare con un pallone, da solo, nel bel mezzo di Piazza Insurrezione era assolutamente impensabile: di solito è un parcheggio strapieno. E il cane tigrato che fa, anche lui da solo, la guardia al Palazzo della Ragione diventa immediatamente un simbolo. È Padova vuota, Padova vestita solo dei suoi edifici e non delle persone.

È una Padova da vedere, e da fotografare, perché non è mai stata così e non lo sarà più in futuro. Distaccati dal flusso normale delle cose e delle genti, c’è posto per un pensiero in più ci si può accorgere meglio di quanto, e come la città sia stata pensata nel suo divenire, nei suoi spazi. Pieni e vuoti determinati sì dagli usi, dalle consuetudini, dal fare man mano, dalle esigenze pubbliche e private, ma figli sempre di un progetto, fosse inconscio e per così dire naturale, oppure studiato in astratto.

Il centro medievale di Padova, la quintessenza del suo essere una delle città più importanti dell’epoca, nasce così: ma con l’intuizione – molto mercantile – non di una piazza come c’è dappertutto, ma di un sistema di piazze, come c’è solo qui. Attorno al Palazzo della Ragione, centro civile dove si discute, si pagano le tasse, si fanno processi, c’è la città che si muove, che vende, che compra e che, naturalmente, discute anche lì.

Due piazze di popolo – delle Erbe e dei Frutti – ma dove andavano tutti, e una piazza dei Signori, fino ai confini della Reggia carrarese, e anche lì andavano tutti. Un “sistema” urbanistico, si direbbe oggi, geniale e arrivato intatto fino a noi: che lo viviamo come le generazioni precedenti, salvo che il Palazzo della Ragione oggi è solo da ammirare per com’è fuori e dentro, e pensare che c’erano gli affreschi di Giotto, fino ad un incendio devastante. Giotto c’è alla Cappella degli Scrovegni, Patrimonio dell’Umanità Unesco, e di questi tempi è al riparo perfino del fiato dei 25 visitatori alla volta che possono vederlo. Gli affreschi degli Scrovegni sono la punta di diamante di una città dipinta, che nel Trecento superava Firenze per le sue case affrescate e i suoi cicli nelle chiese e nei conventi.

Da anni si prova a farlo ri-sapere, chissà che funzioni: perché Padova, in fondo, ha tardato molto ad avere la percezione prima e la consapevolezza poi di essere una città d’oro per il turismo. Distratta dal suo ruolo centrale nell’economia e nel territorio, ha dovuto recuperare conoscenza e senso delle proprie bellezze. Adesso ce l’ha. E quindi il vuoto della pandemia favorisce innanzitutto i padovani: che hanno potuto vedere a 200 metri da casa! – il raggio d’azione consentito – la loro città. Scoprendo che a 200 metri da casa – da ogni casa – c’è di tutto e di più

Il reticolo medievale del nucleo storico è una suggestione continua, con i suoi punti focali e monumentali, il passeggio si trasforma in lezione di storia. È molto, ma probabilmente è il meno: perché Padova si nasconde e va cercata. Dentro – nei palazzi, nelle chiese, nei conventi, nei musei, all’Università – decine di tesori da aggiungere al volto visibile: gli affreschi, sì, ma strutture, collezioni, libri lasciti di una cultura il cui flusso non si è mai fermato.

Il vuoto della pandemia ci ha consentito un’altra dimensione del bello visibile, e resta come prima l’emozionante avventura del bello invisibile. Ecco, i turisti più convinti di Padova dovrebbero essere i padovani.

Paolo Coltro