9 giugno 2022 - 31 luglio 2022

Fratta Polesine (Ro) , Villa Badoer

Mostra fotografica di Massimo Saretta

“Il silenzio nel vuoto”

Villa Badoèr, detta La Badoèra, è la sede nel territorio di Rovigo che ospita l’esposizione di “Veneto venti venti” del fotografo Massimo Saretta grazie alla stretta collaborazione con la Provincia di Rovigo.

La villa veneta, sita a Fratta Polesine e a pochi chilometri da Rovigo, è stata progettata dall’Architetto Andrea Palladio nel 1554- 1555 circa e costruita negli anni 1556 – 1563 su commissione di Francesco Badoèr. E’ la prima villa in cui l’Architetto padovano utilizzò pienamente un pronao con frontone in facciata, nonché l’unica realizzata in territorio polesano.

Oggi è sede di esposizioni d’arte e incontri culturali di interesse internazionale,  è un imponente sito che coinvolge turisti locali e stranieri per la sua importante storia e architettura.

Rovigo

Vi prende, Rovigo, per quella sua aria apparentemente statica, quasi immota: ma è solo un’impressione dovuta sì all’indole, ma combinata con scelte intelligenti.
Il centro storico ha grandi aree pedonali, il caos sembra naturalmente bandito, la gentilezza delle persone bandisce la fretta. Insomma, un’altra velocità, quella giusta. Non fatevi fuorviare dal fatto che la prima Accademia fondata qui nel Rinascimento si dette il nome di Addormentati: erano così svegli che il sodalizio venne sciolto per sospetti di eresia. Rinacque, l’Accademia, con il titolo dei Concordi, e con la speranza di interpretare il genius loci. Fatto sta che a Rovigo i ritmi non sono forsennati, non c’è l’assedio del traffico e moltissimi vanno in bicicletta. Perfino in pieno lockdown da pandemia il centro era animato da ciclisti di ogni età, che magari giudiziosamente la bici la portano a mano, per non esagerare. Quindi a Rovigo la differenza tra la quotidianità della salute e quella del morbo forse si è avvertita meno, il vuoto meno vuoto, meno assoluto: è intervenuta soltanto una calma più calma.
La città ha il dono dell’equilibrio: degli spazi, del fare, degli edifici che ne punteggiano la storia tranquilla. Equilibrio perfino nei numeri: ai cinquantamila abitanti corrispondono esattamente i cinquantamila turisti che ogni anno ci arrivano, e anche si fermano (le presenze sono centomila).

E prendono il ritmo giusto della visita e della conoscenza. Qui non esiste il mordi e fuggi, qui si arriva progressivamente cullati dalla dolcezza della Bassa e si riparte senza scappare, per le mete vicine che sono il Delta del Po o la campagna punteggiata di ville venete, tutti luoghi dove la velocità è quella naturale dell’uomo.

Quello che lungo i secoli a Rovigo è andato di corsa è la passione: a cominciare dal castello, e ci sono ancora le due torri che vigilano sulla città, per finire con i movimenti quasi rivoluzionari delle campagne, la mobilitazione dei contadini che non erano affatto Concordi con chi li sfruttava. Giacomo Matteotti era di Fratta Polesine, e Rovigo la sua città. Gli hanno dedicato una piazza proprio sotto la torre, e un monumento firmato da Augusto Murer.
La città offre spazi aperti e si fa guardare, favorita da un cielo sgombro che la invade di luce. È il cielo della pianura, che fa incontrare i venti del mare e quelli della terraferma, e porta odori e profumi. Nelle trattorie del centro, la tradizione terragna incontra la cucina povera del Delta, arrivano effluvi di salmastro nei piatti di pesce, e solleticano suggestioni non solo gastronomiche. Uscirà, questa volta velocemente, anche Rovigo dal giogo della pandemia, per riprendere il suo ritmo abituale, ovvero il fervore tranquillo.

Si respira, finalmente, da queste parti, e la mancanza di assillo è felicemente contagiosa. Cosicché il gusto ha il suo spazio anche temporale: si guarda potendo osservare.
La Gran Guardia, il duomo, palazzo Roncale, palazzo Roverella che ospita la prestigiosa pinacoteca raccolta dai Concordi, collezione importante oggi affiancata da mostre a ripetizione e di successo sono l’offerta evidente, ma la miglior cosa a Rovigo è diventare “flâneur”: passeggiare tranquilli scoprendo negozi d’antan, librerie di giovani, artigianato e cibo slow.

Complice Ludovico Ariosto, Rovigo è anche la città delle rose, in un intreccio di leggende ed invenzione letteraria.
“Come la terra, il cui produr le rose / le diè piacevol nome in greche voci”, scrive Ludovico nell’Orlando Furioso per dire che il nome della città deriva dal greco rhodon, rosa, perché qui fiorivano spontaneamente. Pare succeda anche oggi, e la rosa è passione.

Paolo Coltro