A Treviso, come in molte città venete, c’è la piazza dei Signori: che qui però ha abdicato fin da subito al suo presunto ruolo di distinzione e divisione sociale. Perché ci andavano tutti, nobili, borghesi, popolani, donne e gioventù.
La piazza centrale a Treviso è la vetrina, e non importa la classe. Tutti lì, i cittadini, quelli usciti dalle osterie a pochi metri mescolati ai nobiloni, e nel passar delle epoche i signorotti d’oggidì rampanti di successo economico e il popolo minuto, diremmo ordinario se nella città del Castello d’Amore vi fosse qualcosa di ordinario. Di sicuro non è ordinario lo spirito, che qui è più leggero, naturalmente incline al divertimento e ad una saporosa quotidianità.
Sarà l’onda lunga di Venezia, che i trevigiani hanno accolto per primi, ad aver suggerito come si sta al mondo. Fatto sta che il ben vivere è un vestito che i cittadini della Marca si sono cuciti addosso volentieri. E allora, immaginiamo, che sacrificio per le giovani mamme non poter esibire il pargolo in piazza, con il legittimo orgoglio della beltà, loro e del bebè.
Che controsenso vedere fugaci apparizioni invece che crocchi e gruppi, colorati e sonori, a celebrare in pubblico la gioia per la vita.
Con la pandemia non si scherza, ma tutto è solo rimandato. E infatti si scalpita contro i divieti di assembramento, perché i trevigiani da secoli si assembrano per moto naturale.
Passerà, e intanto la città continua a respirare dei suoi angoli deliziosi, anfratti di pura coquinerie urbanistica, piacevolezza visiva e sommessamente sonora. Perché a Treviso quasi ovunque c’è l’acqua che canta sommessamente, a saperla ascoltare. Che sia il Cagnan o il placido Sile, l’acqua disegna merletti di riflessi tra le case, e dà il senso di un movimento che è quello vitale della città.